Ivan Schiavone – Tavole e stanze

Foto di Benjamin Everett

Ivan Schiavone, con Tavole e stanze (Oèdipus, 2019) è stato uno dei finalisti al Premio Bologna in Lettere 2021 nella sezione Poesia edita.
La sua raccolta, come scrive giustamente Marilena Renda, “possiede già a prima vista il dono della complessità, qualità che spesso fatica a trovare spazio nella poesia italiana” e, leggendo il libro, non si può non essere d’accordo con questa tesi.
Dalla nota critica scritta per Bologna in Lettere da Marilena Renda estrapoliamo quanto segue::
Tavole e stanze, di Ivan Schiavone, possiede già a prima vista il dono della complessità, qualità che spesso fatica a trovare spazio nella poesia italiana. Si ritiene che la poesia debba tendere all’essenziale, al nucleo intimo delle cose, e questo è senz’altro vero, ma è altrettanto vero che la poesia può tendere al nucleo intimo delle cose ed essere allo stesso tempo complessa e carica di sfide per il lettore. Schiavone ci ha già abituati a strutture complesse, anche dal punto di vista metrico (ricordo il precedente Cassandra, un paesaggio, finalista al Premio Pagliarani), ma credo che la caratteristica più notevole di Tavole e stanze sia, soprattutto nei suoi momenti migliori – penso soprattutto alla sezione intitolata Tavole da un atlante, vero testo programmatico dell’opera – il fatto che la poesia di Schiavone spinge e trascina il lettore in direzioni sempre inaspettate, come se in questa operazione di cartografia dell’esistente fosse necessario strattonare chi legge e trascinarlo lontano dalla sua comfort zone.”
Qui il link per la nota completa di Marilena Renda: http://www.bolognainlettere.it/2021/05/09/premio-bologna-in-lettere-2021-marilena-renda-su-ivan-schiavone/
Di seguito una breve selezione di testi tratti da Tavole e stanze.

Dalla sezione postulati e apostasie:

tutto nel tutto s’intrica e compenetra, dalla brama d’inerte della macchina
alle rotazioni lungo le ellittiche, mosso e irretito in una sola legge
l’infinitesimale e l’infinito, animato da un palpito, da un soffio
lo spirare manifesto nel verso di una bestia, nella lingua che traccia
un perimetro in cui la nostra psiche edifica, schermo al reale, il mondo
lucerna effimera per scarno lume contro le ampie volte della notte

* * *

Dalla sezione tavole da un atlante:

per dislocati adescamenti i trilli
e strida in stralci
e strali ubiqui in coltri all’astro estranee
strenue
inerti in grigi — suoni volatili nel rischiararsi
filiformi grafie o intricati intrecci
di caccie aeree tracce e alle albe intarsio —
echeggia
solitario e alto un richiamo
per la claustrofobia di volte equoree
nell’afa afona fulmine o raggio —
ora è netta la luce al taglio
slanciata al profilarsi delle superfici
s’è levato impetuoso un vento da Tabriz
sospingendo oltre i sedimenti
oltre
verso posteri cumuli di là dal valico
— spaccati o luna

* * *

Dalla sezione variazioni artiche:

dal corso veloce del rado agli arresti verticali
s’inerpica e varia, dall’avorio
allo zinco al calcare sfumando in candore che spurio
dall’ombra vira all’atro degli antri
innalzandosi in blocchi ed alture
per dolci declivi o scoscesi, improvvise fenditure
pinnacoli, cupole e cuspidi dagli ispidi podi
imposte a sterminati geodi
di ghiaccio, digrada alfine al limite dove dell’acqua
si fa incerto lo stato e le linee spezzate, strinate
da fiamme apicali, a perpendicolo incidono il mare

* * *

Dalla sezione cantico piano:

già stando in giorno breve e grave d’ombra, che non arretra o sgombra l’astro, e freddo
come una pietra acerba in seno ai colli immersa attende chi la renda a luce
la tua venuta attesi e come il verde, legno in faretra, perde obliando l’erba
così impietra e serba il tuo esser donna sereno e chiaro oblio d’avverso tempo

* * *

fulmineo fu, attratto dal bersaglio, il dolce dardo dei tuoi occhi e il raggio
che non sembrò frapporsi corpo diafano o denso al tuo lucente e terso sguardo
e caddi, fui e sono e sarò la preda dal tuo saettare liberata e presa
per resistenza e resa sciolta in vincolo, ferita e illesa, imbizzarrita, arresa

* * *

Dalla sezione preliminari alla descrizione di una caccia:

a Nanni Balestrini, in memoria

andava il valor di vaso in vaso — che un’altra storia è possibile
se noi vogliamo — prese una tazza d’acqua fredda e vi sparse sopra farina d’orzo —

contro il sole morente gli uccelli si stagliavano — dopo aver agitato il miscuglio
con un rametto di menta — dal centro al cerchio e sì dal cerchio al centro

— sappi che ‘l vaso — lo bevve e andò via —
che ore sono? Le cinque. Le cinque del mattino o del meriggio?

(Ivan Schiavone, Tavole e stanze, Oèdipus, 2019)

Ivan Schiavone (Roma, 1983) ha pubblicato Enuegz (Onyx, 2010 e, in versione ebook, 2014), Strutture (Oèdipus, 2011), Cassandra, un paesaggio (Oèdipus, 2014), Tavole e stanze (Oèdipus, 2019). Ha organizzato diverse rassegne letterarie tra cui Giardini d’inverno e Generazione y – poesia italiana ultima (da cui il documentario omonimo realizzato da Rai5); ha diretto, con la poetessa Sara Davidovics, la collana di materiali verbali Ex[t]ratione per le edizioni Polìmata. Dal 2016 è editor, per la casa editrice Oèdipus, della collana di poesia italiana contemporanea Croma k. Con Cecilia Bello Minciacchi, Pierpaolo Cipitelli e Stefano Colangelo ha creato il canale YouTube Nuovo Commento.

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