Alessandro Anil – Terra dei ritorni

Jagdish Swaminathan – Untitled (1986)

Alessandro Anil è nato nel 1990 in India, dove ha vissuto fino a sedici anni e dove ha frequentato la scuola fondata dal poeta R. Tagore. Successivamente ha studiato filosofia e letteratura in Inghilterra e poi si è trasferito in Italia.
È poeta e traduttore, è drammaturgo e regista ed è ideatore e socio fondatore di Zeugma-Casa della poesia di Roma.
Nel settembre 2023 è uscita la raccolta Terra dei ritorni, nella Collana Gialla di Pordenonelegge – Samuele Editore.
Nelle note di presentazione della raccolta si legge: «Alessandro Anil irrompe con estrema originalità nello scenario poetico attuale: nel suo verso lungo, che attinge alla tradizione orientale, la materia si trasforma in vibrazione, fa germinare immagini, ripetute e variate, una sull’altra, che conducono una dominante melodia: la sera e l’auspicio dell’incontro. La sera ha a che fare col sonno, lo stare “sulla soglia delle ombre” prima di addormentarsi, col “terrore” che il fuoco dentro noi stia morendo. D’altra parte l’incombere della fine accende la “sete”, che è ciò che fa muovere i nostri passi anche se è notte, nella metamorfosi, nel movimento, il cui principio è l’amore. Ecco perché nella sera la voce rivolge dapprima al lettore, poi a un’amica mia, la preghiera “lasciami entrare”: mentre ripete che “niente resterà qui”, essa popola lo spazio di presenze, che si toccano, crescono l’una sull’altra, deviano e ritornano, sono la promessa della vita, “indizi e ripetizioni che alternano la fine col principio”, a dirci “che non è fine, che c’è ancora tempo” finché resteremo sillabe pronunciate, alla luce del movimento che, nello stesso fiume della fine, incontra le presenze della vita.».
Terra dei ritorni figura tra i dodici titoli candidati al Premio Strega Poesia 2024: ecco di seguito una breve selezione di testi dalla raccolta di Alessandro Anil.

Da TERRA DEI RITORNI:

I

Non è necessario che mi ascolti. Non è importante. Le due rette parallele
di un binario si uniranno comunque, nell’infinito, e questo sangue
lasciato dall’ultimo sole, sembra fermarsi nelle arterie, sospensione
di un battito che non avrà una terra su cui mettere radici, declinando
per l’ennesima volta quel legame tra fragilità e bellezza.
Anche quel poco di natura rimasta, così lontana dalle foreste,
dalle tigri e contrabbandieri che popolavano i nostri sogni, si ritrae nella stanza.
L’inermità del riposo richiede la protezione della tana e questo
sia che si tratti del verme in coordinate misteriose o l’uomo che rientra
la sera per il nutrimento e il sonno. Niente è diverso, le stagioni
dei piccoli segreti sono intatte. Torneranno vedrai, nella breve forcella d’ombra
lasciata ai margini della strada. Orione, le costellazioni dell’Orsa
continuano a svolgere il loro corso fissati in un fotogramma eterno
e non dovrebbe sorprenderti se dopo tutto questo tempo sono ancora
qui, ad amare e soffrire, così inquietamente vinto, a chiederti
di lasciarmi entrare. Anche questo fa parte delle leggi eterne dell’universo.
Vedo l’inclinatura della nuca quando bevi, l’acqua scende
come un’accettazione, come la morte. Presumo sia questa la richiesta:
non la santità, ma la santità prima del peccato. Resteranno solo ombre,
solo ombre, mentre l’umidità sale dalla terra e i colori, le forme
iniziano a dissolversi. La notte è un oceano immobile come un ideogramma
con la sua particella di luce infinitesimale. Come osservare la fine
senza terminare con essa? Giù, nel frutteto, nell’ombra
ghiacciata dell’estate, c’è un luogo dove la migrazione degli uccelli sosta
qualche istante. Noi siamo il sogno di un animale appena addormentato.

§

XV

A quest’ora, quando le ombre iniziano ad allungarsi con quella voglia
di migrare in un altro luogo della terra, quando il quotidiano impegno si ritrae
nelle mani e l’uomo torna nella casa come l’animale con la sua preda,
quando si ha la certezza che niente resterà fra me e te, anche queste variazioni
di luce, questi colori che intravedi, il rosso gradualmente passerà al viola,
infine, la metamorfosi delle sfumature lascerà il nero a testimoniare l’oscurità
di ogni passaggio. Quando niente resterà qui, non ci saranno vinti, né vincitori,
né animale, uomo o terra che segni un ritorno, si disperderanno i sentieri,
le strade a ritroso che pensavamo attenderci nelle emergenze,
anche la configurazione degli oggetti si confonderà in un’unica massa indistinta,
quando niente resterà fra me e te, soltanto le ombre che crescono dall’interno
delle foglie, dalle nervature, da ogni forma concava della realtà, da ogni
sensazione imprecisata che ci attraversa. Le tonnellate d’acqua continuano
a scorrere da una parte all’altra del mondo. Nell’altro emisfero, su altre
complicazioni umane inizia a farsi giorno. Così amore e odio si alternano,
confluiscono da un lato all’altro del corpo e quando per costante gravità
e movimento di pianeti si spengono le luci nella vita dell’uomo e non resta
né saggezza, talento, fede o forza, quando silenziosamente si cancella l’atrio,
il portone e il nostro sguardo inizia a ritrarsi, come se una mano togliesse
la polvere dallo specchio lasciando questa linea che lega la mia sete
al tuo polso, quando a furia di geometrie anche le nostre sagome inizieranno
a confondersi con la notte, quando niente resterà fra me e te,
quando anche la luce più piccola, quella che in altre circostanze
non avremmo notato, inizierà a risplendere come un sole, esattamente lì,
nell’oscurità più tremenda, dovremmo amarci. Lasciami entrare.

§

XXIII

La notte può essere tremenda o dolce, dipende dove ci accoglie, il cuore
colpisce oppure è colpito, le stesse mani che hanno ferito in altri tempi,
ora sono pronte per essere posate su uno spasmo del tuo corpo,
il fuoco distrugge e prepara un nuovo inizio, la gioventù è vecchiaia
e la vecchiaia è già infanzia, la pietra è segno di morte e nello stesso tempo
immortala. Per tutto questo tempo tu eri con me anche se noi
non eravamo insieme. Se Eraclito e Parmenide fossero un unico essere
bifronte, se ogni cosa è destinata ad essere identica e altra da così com’è,
comprenderei perché ora che mi sei accanto sei già la mancanza
del domani, quando per naturale alternanza fra movimento e stasi
ci ritroveremo in altre sequenze della terra. Niente resterà qui.
Fra le poltrone di questo cinema all’aperto non troverai spettatori,
nessuna pellicola che viene proiettata. A dire il vero non c’è neanche
uno schermo e forse è ingiusto chiamare cinema questo vuoto disabitato,
sicuramente fuorviante, basterebbe dire che la morte è la parte della luna
che nessuno vede. Se non hai capito sto girando intorno alla stessa parola,
niente. Tu non esisti, io non esisto, nessuno esiste. Sei stata, ricordo
che sei stata. Hai fatto parte anche tu del gioco insensato dei doni
e delle perdite, un po’ come queste poesie a te rivolte, non sono altro
che un tentativo di circoscrivere il silenzio, affinché una lacuna, un vuoto
in cui non ci sono parole, possa essere tradotto in una presenza, una panchina
dove riposarsi, un bambino che gioca ai tuoi piedi, un arnese che si tiene
bene in mano o qualcosa da raccogliere la sera sulla via del ritorno,
quando si ha la certezza che nella discrepanza fra ciò che un luogo è diventato
e i ricordi che se ne portano, più ti avvicino e più tutto si allontana.

§§§

Da NOTE SULLA MELODIA DELL’ACQUA:

III

Non lontano un pianoforte copre l’ossatura dei vicoli e l’ombra
lascia le retrovie di questa parte dell’emisfero. Altrove, il sonno continua
ad alleviare le nostre sofferenze, ma qui, dove il click della tua molletta
si accorda misteriosamente alla sirena che inizia il suo canto, la notte si ritrae
dalla tazzina agli angoli della bocca, in ogni forma concava della realtà.
Ora il fiume scorre verso valle. Inizia l’esercitazione umana, l’ansioso
agitarsi del mondo e la sacra differenziazione del suono: sia che si tratti
del disastro di una frizione che qualcuno tormenta nella strada
o delle parole che iniziano a distinguersi dai primi gemiti, consuetudine antica
è scambiare parole nel letto: «è bello dormire con te, ma è più bello
risvegliarsi accanto». Parole gentili, vere, forse le uniche della giornata.
Se noi guardassimo le figure del Rinascimento, quelle di Piero della Francesca
o come ci conduce Rilke fra i santi di Marco Basaiti, se mai si salutassero
non lo farebbero con gesti pomposi, si ritrarrebbero nello sfondo diventando
miniature. Così, il Cristo di Dürer, risorto con le proprie sofferenze,
non avrebbe bisogno di muovere i rami per sentire che il fruscio è la forza,
la vita. Io, il più mortale fra gli esseri, sono l’ennesimo scribacchino
alla fine di una lunga generazione di uomini che fra Occidente e Oriente
hanno tirato instancabilmente le fila di questa favola eterna.
Ascolto lo stesso fiume, le sue increspature mutano la transizione dei sogni,
il canto dell’usignolo sulla riva ha dato vita alle leggende popolari
e l’acqua della spada ha tinto il fiume di rosso. Secoli oscuri e brutali
sono scesi lungo i nastri bianchi e tiepidi che indietreggiano dalla tua schiena,
tra l’età del ferro e quella della superficie limpida in cui ci ritroviamo fra i viventi.
Gloria alla tua carne amica mia, devo concederti la partita: è tremendo desiderare
senza possedere, ma più tremendo ancora è possedere senza desiderare.

(Alessandro Anil, Terra dei ritorni, Pordenonelegge – Samuele Editore, 2023)

Alessandro Anil è nato nel 1990 a Santiniketan, West Bengal, India. Esordisce nel 2019 con Versante d’esilio (Minerva Editore), con cui vince il premio Camaiore proposta, il premio Guido Gozzano opera prima e il premio Città di Como (terna dei finalisti). Sempre nel 2019 pubblica insieme a Franca Mancinelli e Maria Grazia Calandrone, Come tradurre la neve (Animamundi Editore). È ideatore di Zeugma-Casa della poesia di Roma. È direttore artistico del centro Theatre House-Sources Research Performative Arts, con cui oltre alla direzione artistica e la formazione professionale, si occupa di educazione e integrazione nel mondo lavorativo per fasce meno abbienti.

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