Alberto Cellotto – Non essere

Francis Bacon – Untitled (1954)

Alberto Cellotto (poeta, narratore e traduttore) ha pubblicato nel 2019 la raccolta poetica Non essere, edita da Vydia Edizioni d’Arte, con la quale è risultato finalista al Premio Bologna in Lettere 2019 nella sezione Opere edite.
Nella prefazione di Maria Anna Mariani leggiamo, tra l’altro: “Non si esiste senza prove, sembra dunque dirci Alberto Cellotto attraverso queste poesie. Non si esiste se si brucia il passaporto vecchio al momento di farsi rilasciare quello nuovo. E allora l’io lo tiene, certo che lo tiene, e si ostina a dire «tengo tengo e tengo», per tre volte di fila, un tengo incatenato all’altro, per scongiurare il non essere e pensarsi così «più lento a perire». A quella del «tengo» si affiancano dentro la raccolta molte altre anafore, di parole singole o di versi interi, riprodotti tali e quali o con minime variazioni. Per far esistere bisogna ripetere, dare un surplus di materia e d’energia attraverso una doppia inscrizione, che inchiodi parole e cose alle pagine. Che inchiodi quell’essere che si dilegua e che vorrebbe soltanto rovesciarsi nel suo contrario: in quell’altrove dove si ferma il respiro nel mentre di «una diastole mancata ai cuori».”
Di seguito una breve selezione di testi tratti da Non essere:

Ah, la cicatrice del vaccino contro il vaiolo:
potevi piccolo distinguere e saltare generazioni nei
bracci nudi e quelli grandi erano stati tutti in quell’affondo
chiaro sulle estati della pelle, nelle canottiere e sere
e ancora in sigarette che fumarono, nelle voci rauche
di maestre. Io non ce l’ho. L’obbligo è caduto l’anno prima
che nascessi. E adesso fa meno difetto, tranne oggi,
per poco, quando lo specchio scade in gioco a issarmi
sulle cicatrici di un uomo. Ecco, è una bella storia: rimesta
noi, legge, malattia bieca e distante,
poi con loro ogni mio superfluo bene ambulante.

* * *

Un gallo, un grido, un posto buio e uno col tanfo
delle capre, balconi chiusi e una vampa al pancreas
crea di nuovo la salita, una somiglianza con un destino
di fatti d’acque in silenzio e chiare. C’è una rondine
che sta attaccata al sottotetto e va. A lato
ha un vestito vuoto appeso. Il fiato sopra un’onda
e vaste vite e alberi si radunano nel momento di albe, al fare
chiaro su terre e mare, giorni come lampi e starnuti
in un sorso d’acqua. Fosso come il cielo e come il cielo
rosso: il bosco è lavato dilavato, stirato ai lati, nei bordi
delle foglie: mi sveglio nel noto. Adesso sto qua a riportare
ogni stallo al morire e in un grammo di alba fuori stano
l’attesa con chi ricordo: sono già nella vita.

* * *

Non serve a tanto dirti che il premio è stato pagato
prima di mettere mano alla canna e non tanto diversa
allora potrebbe essere una spanna di memoria
per noi: credere vittoria i numeri che mettiamo in fila
sullo spago tirando i colli alla plastica gocciolante.
Né ho capito cosa erano i giochi per te, distanti
appesi, inseguiti girando il parapetto (quali arcani
e televisivi criteri nei punti affibbiati ai peluche diversi),
o quale luce ricorderà i capelli tuoi di questa sera, nebbiosa.
Ma adesso che dormi con la saliva che sa aspettare il mattino
a bocca aperta vorrei sfinire di voce il giorno nostro
con le parole adesive del chiostro: sempre si vince.

* * *

Chi esce da lavoro sempre alla stessa ora o quasi sa
delle giornate, come si allunga un tramonto tra l’inverno
e le stanze prima di primavera. Spesso crede il cielo. Spesso
il vetro lo allontana dalle luci sulla sedia o tra le due montagne.
Sono i giorni dove manca paura di morire felici capendo
un posto e le sue arie, perché siamo sempre in quello
senza esserci tornati mai. Non si passa per strade secondarie
alle statali perpendicolari senza accusare intera
la nostra vita, soprattutto l’infanzia quando abbiamo imparato
le case le scale esterne e le luci dalle finestre
o l’essere tristi da un lampadario.

* * *

Una foto di una mattina con l’asfalto i bidoni
e gli alberi gialli. Quali tracce possono vivere
e quale lago in gola sa restare calmo per non cedere
alla vittoria di deglutire. Vedere qualcosa è già vedere
tutto, ma pensare tutto è stata solo l’esagerazione di una
passeggiata immaginata. Le macchine sono ai loro posti
con i nomi distesi sulle strade dove il freddo è forte
e fragile è il dietro dei negozi e dei colori appesi
sulle insegne. Se vere invocazioni hanno strattonato
i fantasmi in quelle strade distratte dalle superfici
d’acqua, se veri talloni si sono mischiati alle sponde
di un ritorno che non è la partenza, allora io manco
tu chiami dall’inquadratura che dal cielo aspetta il gelo.

* * *

Nelle cartine delle metropolitane del mondo non manca
mai quella linea del fiume. Una gloria di curve
senza coincidenze incroci e capolinea. Una memoria
azzurra emersa nella ciurma dei fiatanti con la cuffia.
Sopra restano le barche e le chiglie che fendono le nostre
costole e ventri appannati pressappoco come l’odore
grasso dei binari o il pensiero bello che soffia nel cervello
dei roditori nel tunnel. Fuori viene per primo il polline
di una fioreria, la macelleria perfetta
e il ricordo di una bambina che scriveva,
sul vetro del bus e poi su quello del telefonino,
con lo stesso dito l’infinito scolo del presente.

(Alberto Cellotto, Non essere, Vydia Edizioni d’Arte, 2019)

Alberto Cellotto è nato a Treviso nel 1978. Ha pubblicato i libri di poesia Vicine scadenze (Zona,2004), Grave (Zona, 2008), Pertiche (La Vita Felice, 2012), Traviso (Prufrock spa, 2014), la plaquette illustrata da Nicolò Pellizzon I piani eterni (La collana Isola, 2014), Pechino (autoprodotto stampato in 40 copie, 2019), Non essere (Vydia, 2019) e La decenza comune (Pordenonelegge/LietoColle, 2020) . Ha tradotto Duluth di Gore Vidal (Fazi, 2007), Canzoni per la scomparsa di Stewart O’Nan (Fazi, 2011) e Una speculazione sul grano di Frank Norris (Amos Edizioni, 2012). La sua prima opera narrativa è il libro epistolare Abbiamo fatto una gran perdita (Oèdipus, 2018).
Di seguito il link per il sito personale albertocellotto.it: https://www.albertocellotto.it/

Lascia un commento