Giulio Maffii – Angina d’amour

Francisco Goya - El amor y la muerte - 1799
Francisco Goya – El amor y la muerte (1799)

Vorrei iniziare dalla fine e non si tratta di una velleitaria stramberia. Alla fine del libro Angina d’amour di Giulio Maffii, dopo le ironiche e personalissime note biografiche, dopo l’indice, insomma proprio alla fine c’è una dedica che recita: Il libro è dedicato a Paola senza alcuna angina. È il preludio a una delle più belle poesie d’amore lette negli ultimi anni e lo dico senza timore di incappare in eccessi o iperboli. Versi quali Nessun amore è un amore / se non ha almeno un’intercapedine oppure Ci siamo amati una volta sola / in questa vita e forse in un’altra / sopra l’abito della domenica / ci siamo indossati divorati / baciati e sparati in bocca / un alfabeto intero sono lì a parlarci della disperata e disperante bellezza dell’amore, dei ricordi che lo stesso evoca, della vita condivisa, assaporando e divorando i sentimenti. E l’intero alfabeto poetico usato da Maffii diventa strumento d’indagine della materia amorosa, analizzandone gli aspetti esteriori e quelli reconditi, si fa corpo e anima, dà voce all’amore e dall’amore prende voce. La scrittura di Giulio Maffii è ricercata: il poeta sceglie e calibra con minuziosa attenzione ogni parola, fin dai titoli delle sezioni che compongono la raccolta. Basta scorrerli per rendersene conto: ognuno di essi potrebbe essere un verso che vive di luce propria: Venti angine d’amore, Una coazione disperata, La mimica del legno, Momentanea abiura, Il fallimento del lutto, La direzione del sangue. L’indagine di Maffii si muove lungo un percorso che privilegia le emozioni ai fatti, senza per questo rinunciare all’osservazione degli oggetti, delle piccole cose quotidiane: 20 centesimi il cartone del latte / le carabattole sotto il lavabo. Lo sguardo sul quotidiano rivela il lato ironico di Maffii: Ci si offre come stuzzicadenti reciproci /ma il legno è fatto in Cina / una riproduzione seriale, anche se ci sono versi che sembrano andare in direzione contraria (Non c’è posto per l’ironia / tra i versi non è serietà). Sta in questa capacità di miscelare ironia e dramma, a mio avviso, la forza stilistica ed espressiva di Maffii. La memoria fa apparire ricordi dolorosi: Non ho mai sentito un vuoto / perché un padre non l’ho mai avuto / niente da riempire o maledire. Il ricordo si unisce al presente ed è la passione a fare da collante:Bruciamoci come ceralacca / che di questa vita non rimane niente.  Con Angina d’amour Maffii descrive il dolore dell’anima, il male di vivere che è poi lo stesso sofferto da Mr. Prufrock, il personaggio eliotiano a cui è dedicato il poemetto Mr. Prufrock non canta più d’amore, all’interno della sezione intitolata Una coazione disperata. La poesia di Maffii abita in stanze spoglie, i cui muri trasudano ricordi dolorosi e amplessi gioiosi. Il poeta è lì: osserva, trascrive e, come dicono le note biografiche, dorme abitualmente dal lato della porta, ma non disdegna il lato opposto.
Questa è la nota da me dedicata a Giulio Maffii nell’ambito del Premio Bologna in Lettere 2018, in cui la raccolta Angina d’amour ha ricevuto una segnalazione nella sezione Poesia edita.
Di seguito una breve selezione di testi tratti dalla raccolta.

Dalla sezione Venti angine d’amore:

Al crepuscolo mancano le dita
20 centesimi il cartone del latte
le carabattole sotto il lavabo
il peltro della sedia per non far scivolare niente
Che pena i rantolii notturni
-ti manca il respiroportati
qualcosa dentro i sogni
Ci si offre come stuzzicadenti reciproci
ma il legno è fatto in Cina
una produzione seriale
Riponi le uova i depositi di materie
le briciole di ieri sotto la tovaglia
Quattro mura che rinchiudono il vuoto
meglio di un corpo
Questa fitta dolorosissima
che sfugge agli ultrarossi ma non alla luce
nascosta nelle mani
È domani
È un battito di gocce in bottiglia
il suono delle ciglia tormenta l’aria
e tutti gli orchestrali
Poi alla fine ci si ama lo stesso
non è quello il problema
Sono le suola sporche
le parole nel taschino
la tazza con lo zucchero incrostato
una camicia di una taglia più grande
il verso della tortora d’estate
Poi alla fine te lo ripeto
ci si ama lo stesso

* * *
Non ho mai sentito un vuoto
perché un padre non l’ho mai avuto
niente da riempire o maledire
Il gelo fa più male dell’assenza
e si apprende la consuetudine
di essere imperfetti
e siamo in molti
nessuno è da solo
nelle forme del dolore
Parole molto simili dondolano
tra l’abisso e la nuca
spalancano e spaccano le vertebre
Viviamo di così poco
che anche un fiammifero
ci divora

* * *
Mi chiudi con le mani il cappotto
non avevo mai visto tanto amore
luccicarmi in fronte o nei paraggi
Poi lo abbiamo fatto davvero l’amore
un amore lungo uno scalpiccio ventricolare
quello dei resuscitati degli eccitati vinti
Non possediamo niente a parte il nome
e la carne fossile di qualche ricordo
Questa poesia non l’ho scritta io
l’ho trovata per caso e decifrata
sopra il tuo petto

* * *
Dalla sezione Momentanea abiura:

Adesso e voglio dire adesso
un’interruzione momentanea
diaspora di ogni cronologia
rinnego la filogenesi
il verso che deflora
Immagina di non sapere chi sei
ritratta il silenzio che unisce
i vivi alle cose inanimate
Penetra il sasso il fango
quello per cui sarai dimenticato

L’ironia della lontananza senza luoghi
i roghi disidratati della pelle
la memoria smarrita nella memoria
Di tanto in tanto partecipare
alla liturgia delle voci
piegare il capo nudo
fino a mordersi il petto
Placarsi nei rammendi di stagione

La partenza è un fatto naturale
Le ossa scendono nel piatto di miseria
che ognuno ha
La momentanea abiura di noi
si contrappone al pianto
che genera il fiume
la riva il controcanto

* * *
Dalla sezione Il fallimento del lutto:

Sono corpi avariati
in men che non si dica
a tratti ad alternanze
a zuppe di cereali della sera
Qui non c’è più posto
ho l’addome pieno
di rigurgiti e luce
nonostante l’ombra divori
il mondo intero sotto
la sedia e universi di polvere
di sorrisi e catrame
Fossi io il dolore stesso
divaricherei le gambe
partorendo con piacere
a grumi a guizzi
a sbalzi di orgasmo d’animale

* * *
La tua assenza è diventata una presenza
tutti i giorni un passo
nel lavoro della memoria
per liberarci dalla malattia
dei nomi che non si dimenticano
Le bocche sono l’ambiente perfetto

per una solitudine
dove custodire gli anni
le caramelle d’anice
le braccia perdute

* * *
Dalla sezione La direzione del sangue:

Dividimi il cuore come una bisettrice
entrami negli atomi
scopami ogni respiro
bucami lo sterno
mescola i dolori
perché il senso delle parole
è lasciare un corpo che si contrae
dentro un letto accanto a un altro corpo

(Giulio Maffii, Angina d’amour, Arcipelago Itaca, 2018)

Giulio Maffii dorme abitualmente dal lato della porta, ma non disdegna il lato opposto. Osserva il mondo dagli zigomi delle finestre, dai balconi, dai finestrini d’auto. Spesso ci scappa un porticato. Adora attraversare corridoi. Vive e scrive. Studia e narra. Si può trovare di frequente sul web. Incentiva la piccola editoria, però quella seria e appassionata: qui pubblica volentieri. Ogni tanto accetta di buon grado premi, passeggiando tra l’odore amaro delle felci o incontrando sul cammino le mucche che
non leggono Montale. Prova ad essere saggio preferibilmente a giorni alterni. *

*Notizia bio-bibliografica riportata fedelmente così come appare in appendice al libro.

E questa è la poesia d’amore che chiude Angina d’amour:

Nessun amore è un amore
se non ha almeno un’intercapedine
Ci persegue una domanda
-ma come fare
come fare a riconoscere l’amore?-
Poi alla fine succede un fulmine
dietro resta il coro dei paurosi
Ci siamo amati una volta sola
in questa vita e forse in un’altra
sopra l’abito della domenica
ci siamo indossati divorati
baciati e sparati in bocca
un alfabeto intero
Non toccare più niente
neanche lo scalmo che ci sorregge

cover maffii

 

 

 

 

 

2 Comments

  1. Colpisce la naturalezza con cui le analogie si inseriscono tra frammenti del parlato, accendendosi in un visionarismo frastagliato e spiazzante, imprimendo improvvise impennate a un fraseggio lirico magmatico e incalzante, capace di non temere una gnomica (come quando riconosce nel destino di un fiammifero la precarietà dell’umano), ma senza alcuna pesantezza oracolare, giacché le conclusioni sull’amore e sulla vita sembrano spigolate spontaneamente dal quotidiano, da un paesaggio familiare di oggetti e di relazioni che il moderno trovar dell’autore tratteggia con incantata grazia.

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