Francesca Del Moro e gli obbedienti

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Ho sempre provato vicinanza per quegli autori che nei loro versi trattano il trascorrere della vita quotidiana narrandone l’aspetto malinconico, a volte drammatico. Quegli autori che, per intendersi, trattano il mal du vivre. La stessa vicinanza l’ho provata leggendo l’ultimo libro di Francesca Del Moro, intitolato Gli obbedienti (Cicorivolta Edizioni, 2016).
In questa raccolta Francesca Del Moro tratta appunto di questa sofferenza: i protagonisti delle sue poesie sono donne e uomini che si muovono come automi, perfettamente (o forse sarebbe meglio dire imperfettamente) omologati, obbedienti a regole non scritte, ma ormai saldamente radicate.
Sono donne e uomini che vivono una vita di frustrazioni, alle prese con precarietà e flessibilità, con orari da rispettare, treni e autobus da non perdere, difficoltà da affrontare (spesso in solitudine).
Francesca Del Moro non si avventura nel sentiero impervio della poesia civile, termine quanto mai abusato e dietro al quale si nasconde assai spesso una brutta scrittura, ma descrive la quotidianità senza essere banale e riuscendo anzi a coinvolgere e colpire il lettore con versi incisivi.

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La raccolta si compone di novantacinque componimenti, contrassegnati ciascuno da un numero romano: alcuni di essi recano anche un titolo, come per esempio quelli in forma di haiku, che marcano il percorso della scrittura di Francesca Del Moro, quasi a scandirne i tempi di lettura.
Gli obbedienti inizia con Jobs Haiku e si conclude con Eye-ku, ma all’interno trovano posto titoli come Haiku-da-fé, Haiku del mito, Haiku-dilemma, Haiku della pecora, Social Haiku, Happy Haiku.
Scrive Anna Maria Curci, nella sua puntuale e completa postfazione: “Si rischia l’osso del collo, nell’era del precario e dell’abnorme, a  trattare una materia sfuggente, scivolosa, la sabbia mobile della grande illusione della libertà di espressione e la smisurata menzogna della flessibilità e a tenere, al contempo, il punto della ‘norma’ metrica, a procedere sulle righe di un pentagramma, divenute oramai funi sottilissime, pressoché invisibili, sulle quali avanzare – ghigno del secolo della rete – senza rete. Francesca Del Moro è ben consapevole di questo rischio, che affronta ricorrendo a una grande varietà di forme e conservando, tuttavia, unitarietà al progetto che ha delineato e che persegue, consapevole dei mezzi espressivi, di tascapane, fardelli, zavorre, di riserve di fiato e, dunque, della temerarietà dell’opera-trasvolata, del libretto-salto in cui si è lanciata.”

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Nonostante le staffilate e i pugni allo stomaco in alcuni casi assestati, la raccolta possiede e mantiene una propria musicalità: non è un caso che Francesca Del Moro scriva anche di musica e che la sua raccolta poetica precedente si intitoli Le conseguenze della musica (Cicorivolta Edizioni, 2014).
I versi possono essere visti come la colonna sonora di una giornata-tipo: dal risveglio mattutino al momento in cui si va a dormire. In mezzo stanno appunto quelle cose quotidiane di cui si diceva: le azioni, le sensazioni, la rabbia, la tristezza. Gli obbedienti lavorano a testa china, ma saranno pur sempre pronti a sfoderare il loro migliore sorriso per il momento dell’happy hour: alla precarietà della vita ci si penserà il giorno dopo.
Alcuni estratti da Gli obbedienti:

III

Guardi il display con la tavola
ridente e la sfoglia Buitoni
i cartelloni con le bocche
spalancate per la gioia
delle cose.

Bisogna vendere cose
vendere sempre vendere
le cose.

Tu marci con gli altri
nel grigio mattino,
farai la tua parte.

VI

Qui non ci sono i cubicoli
di Monsieur Hulot.

Qui c’è un open space
con tutti i suoi comfort.

Ma i pensieri di ciascuno
si muovono al sicuro
in un minuscolo
spazio quadrilatero.

Non c’è nessun rischio
neppure che si sfiorino.

XXV

Ce l’hai fatta per fortuna
ad augurargli la buona notte,
gli hai rimboccato le coperte
e poi hai spento la luce.

“Per te sarà tutto diverso”
gli hai sussurrato prima di andare
come diceva sempre tuo padre.

XLVIII

Il saldatore appena assunto
e il muratore in pensione
discutevano in treno
di dignità sul lavoro,
di giustizia e rispetto.

Ed era tutto un proliferare
di prime persone,
plurale il vecchio
e singolare il giovane.

LV

Haiku della pecora

Anche se è nera
o vestita da lupo,
sta in fila e bela.

XC

Il bianco ha già invaso
tutti gli occhi e tu vedi
solo cose ormai vecchie
come le stelle spente.

Non vi scontrate, ché i passi
sono gli stessi di sempre.

Poesie tratte da Gli obbedienti, di Francesca del Moro (Cicorivolta Edizioni, 2016).

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Le immagini sono tratte dal film Playtime (1967) di Jacques Tati.

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